lunedì 22 giugno 2009

USS Arizona

7 Dicembre 1941: la flotta aeronavale giapponese attacca Pearl Harbor. Cinque delle sette corrazzate americane vengono affondate; fra queste, la USS Arizona, divenuta in seguito il simbolo della prima fase della battaglia del Pacifico. Una bomba, sganciata alle 08:06 da un Hiryū Kate, colpisce la nave sul tribordo, determinando l'apertura di una falla sullo scafo dovuta all'esplosione del magazzino delle munizioni. L'immagine sottostante è l'unica ripresa a colori conosciuta dell'attacco alla USS Arizona.



La corrazzata si adagia sul basso fondale di Pearl Harbor, a meno di 10 metri di profondità. Al termine dell'attacco giapponese si conteranno circa 2300 vittime militari; quasi la metà di esse appartenevano all'equipaggio della corazzata Arizona.

La parte di storia che ci interessa più da vicino comincia nel momento in cui si decide che il relitto è un simbolo e per questo è necessario valorizzarlo. A differenza di tanti altri casi famosi (su tutti quello del Vasa), la scelta delle autorità americane è quella di non recuperare lo scafo dal fondale. Si decide di erigere una piattaforma "palafittata" in direzione trasversale rispetto alla scafo (come da immagine sottostante); sulla piattaforma è posto lo USS Arizona Memorial, che viene visitato ogni anno da almeno un milione di persone.


La struttura del memoriale ha una apertura sul pavimento che permette ai visitatori di osservare la cisterna della nave, da cui fuoriescono costantemente le "lacrime della USS Arizona". Lo scafo della corazzata, infatti, perde carburante dal momento in cui è stato affondato. Per questo motivo, a partire dal 1999 è stato messo a punto un progetto multidisciplinare per la salvaguardia dello scafo e dell'ecosistema marino in cui esso si trova: lo USS Arizona Preservation Project.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra lo US Geological Survey's Pacific Science Center e il National Park Service. I principali aspetti su cui si concentra attualmente la ricerca sono lo stato di corrosione dello scafo e la struttura geologica del fondale marino su cui poggia la corazzata.

Come possiamo immaginarci i fattori che influenzano la resistenza di un metallo in ambiente marino sono numerosi; i principali parametri che vengono presi in considerazione sono: il pH, la concentrazione di ossigeno (l'ossigeno è direttamente responsabile della corrosione del metallo) e la salinità dell'acqua.
Oltre a ciò si effetuano campagne di misure volte a determinare lo spessore delle pareti della struttura della nave. In particolare, in una prima fase si è proceduto al campionamento di alcune sezioni dello scafo (dischi con dimensioni di 4 pollici di diametro); in seguito si è deciso di ripiegare su una tecnica non invasiva come la sonda ad ultrasuoni, considerando l'importanza del manufatto in esame.

Per valutare la velocità di corrosione dello scafo da parte dell'acqua marina vengono effettuate misure di potenziale di corrosione (Ecorr). Tale potenziale viene misurato con un elettodo Ag/AgCl. Mettendo in relazione il potenziale con i valori di pH dell'acqua è possibile stimare quale sia la durata media del metallo.

Il dato più interessante di questa parte di studio è che i ricercatori hanno messo a punto un sistema per studiare anche l'interno della nave. In collaborazione con una ditta specializzata in riprese subacque è stato realizzato un piccolo Video-Ray ROV (Remotely-Operated Vehicle). Questo, oltre a realizzare riprese video trasmesse in tempo reale all'operatore-guidatore, può essere equipaggiato con ogni tipo di sonda; nel nostro caso, come ovvio, i ricercatori hanno deciso di dotarlo di un dispositivo ad ultrasuoni per valutare lo spessore delle parti interne dello scafo e contemporaneamente hanno misurato i parametri di cui sopra in zone inaccessibili per l'uomo. L'immagine qui sotto mostra il ROV usato dai ricercatori americani.

Dai dati emersi finora lo scafo sembra aver resistito abbastanza bene alla corrosione marina.

Un'altra parte del monitoraggio consiste nel prelievo (e nella conseguente analisi) delle concrezioni che si trovano nella parte esterna dello scafo. Particolare attenzione è stata posta nell'analisi delle colonie di microrganismi presenti in esse allo scopo di comprendere se e come la microfauna presente sullo scafo stia influenzando la corrosione del ferro. I risultati preliminari di questa parte del lavoro sono stati pubblicati nel nuovo numero di Journal of Cultural Heritage; è proprio leggendo questo articolo che mi sono appassionata al caso della USS Arizona!

Tramite sonde GPS, posizionate in zone strategiche della nave, la posizione dello scafo viene tenuta sotto costante controllo; nelle zone intorno alla falla sono stati posizionati rilevatori di movimento, così come si fa per le crepe strutturali di una muratura.

Infine, quanto precedentemente detto, unito all'analisi dei movimenti dello scafo e ad un approfondito studio geologico dei sedimenti della baia di Pearl Harbor su cui è adagiata la corazzata, permetteranno agli scienziati di garantire a questo simbolo della storia americana un sommerso e sereno riposo per almeno un altro centinaio di anni!

sabato 13 giugno 2009

Poster e dintorni

Salve a tutti!

eccomi di nuovo (finalmente!) a scrivere sulle pagine di Art&Scienza.... vi sono mancato??... probabilmente no, ma a me siete mancati voi!!!

Ho avuto un "piccolo" momento di stop dovuto alla conclusione della tesi e successiva laurea (evvai!), ma adesso cercherò di dedicarmi più assiduamente a queste pagine digitali, per proporvi nuovi articoli, riflessioni, notizie e curiosità sul mondo del restauro e della conservazione!!

come primo post vorrei dare divulgazione su di una mostra che stanno organizzando i miei compagni di blog:


Vi invito a visitare il sito ufficiale!


In pratica si tratta di una mostra che intende illustrare, attraverso poster e pubblicazioni, quale sia il lavoro svolto dagli studenti delle lauree triennali e specialistiche classi 41 e 12s (spero i numeri siano giusti.... ); la mostrà raccoglierà circa 40 poster che avranno l'arduo compito di mostrare i lavori di tesi svolti da altrettanti studenti che si sono cimentati nei suddetti corsi di laurea.

I poster spazieranno dall'applicazione di nanoparticelle sul veliero Vasa, allo studio di malte messicane (provenienti dal sito di Calakmul) contenenti particolari gomme vegetali, fino particolari studi sul degrado delle fotografie. Insomma, tra lavori di pura ricerca sperimentale e di interventi di restauro al limite della fantasia, sarà un viaggio attraverso ciò che sta dietro ad un restauro che affascinerà anche i meno ferrati nella materia.

La mostra, oltre ad essere un'ottima occasione per far conoscere a tutti il grande lavoro di ricerca che sta dietro ad un "buon" (passatemi il termine..) restauro, rappresenterà anche un momento utile a far comprendere agli "addetti ai lavori" la fumosa figura del conservation scientist, che vogliamo (e dobbiamo) delineare quale futura figura professionale, e che ancora, purtroppo, stenta ad affermarsi.

Chiunque abbia frequentato i corsi di laurea triennale o specialistica a Firenze può rivolgersi agli organizzatori al seguente indirizzo emali:

scientiaadartem@gmail.com

Tutti quanti siete invitati alla mostra (dettagli sul luogo e la data arriveranno presto); a chiunque abbia frequentato i medesimi corsi in altre città consiglio di promuovere iniziative simili, in modo da catturare, sempre di più, l'attenzione delle persone verso il mondo del conservation scientist.

Andrea