sabato 3 gennaio 2009

Restaurare "Contemporaneamente"...

Salve a tutti,

eccoci qua con il primo post dell'anno!
Volevo segnalarvi un interessante articolo apparso sul "Venerdì" di Repubblica di questa settimana. Si tratta di un colloquio con Antonio Rava, uno dei massimi esperti italiani (forse l'unico?) del restauro di opere d'arte contemporanea. In questo articolo viene trattato un tema molto interessante: "come affrontare il restauro di opere d'arte contemporanea, che usa materiali effimeri e spesso è fatta solo di un'idea?".

La domanda non è banale. Sempre di più, infatti, l'artista sposa materiali tra i più disparati e complessi, sfamando la sua creatività con ciò che la moderna tecnologia gli mette a disposizione (plastiche, laser, tubi catodici...). Spesso le opere sono addirittura concepite per NON durare nel tempo.
Come si affronta il restauro di un'opera che altro non è se non un palloncino gonfiato dall'artista?? (Fiato d'artista - Piero Manzoni) Si può sostituire il palloncino con uno identico, ma com fare per il respiro dell'artista, se questi è scomparso?
Ancora, dipinti ad olio eseguiti su di uno strato di catrame, che, piano piano, risucchia la pittura facendo scomparire il dipinto stesso (Luigi Stoisa); mucchi di caramelle che il pubblico è invitato a consumare (Fèlix Gonzales-Torres).

Untitled (portrait of Ross in LA), 1991, Felix Gonzalez-Torres

Tali opere danno ai materiali, ed alla loro caducità, una grande importanza e sarebbe quasi CONTRO il volere dell'artista se si tentasse di conservarle nel tempo. Altre opere, invece, danno molta importanza all'idea, al messaggio, e tralasciano il problema dei materiali, tanto che richiedono continui interventi, come ad esempio l'opera "Scultura che mangia" di Giovanni Anselmo.

Scultura che mangia, Giovanni Anselmo, Parigi, Centre Pompidou

Per far si che il contrasto tra la freschezza della lattuga e l'immobilità della pietra sia sempre vivo, è necessario sostituire la lattuga ogni giorno.
Un'altro artista, Anselm Kiefer, utilizzò nei suoi quadri fiori e semi delle sue terre e, prevedendone il degrado, creò dei veri e propri archivi di centinaia di esemplari da utilizzare per la sostituzione; ma quando questi finiranno??

Insomma, affrontare il restauro di opere d'arte contemporanea può diventare un vero e proprio rompicapo; diviene, quindi, sempre più necessario penetrare nel mondo intellettuale dell'artista, in modo da evitare che interventi, pur tecnicamente ineccepibili, tradiscano la sua poetica.

Ancora una volta il restauro richiede l'intervento di una figura preparata nel campo della chimica e dei materiali, di una professionalità che riesca ad intervenire scientificamente sull'opera, pur mantenendo la sensibilità di uno storico dell'arte. Di un Conservation Scientist, appunto.

Come affrontereste tali interventi di restauro? Sostituire, lasciare deperire, immortalare con documenti fotografici?? A voi la parola!

Andrea




1 commento:

Michele ha detto...

Bel post. L'articolo apparso sul Venerdì di Repubblica meritava sicuramente una riflessione su queste pagine virtuali!
..Il tema è molto delicato e complesso, come spesso accade quando si entra nel terreno ricco di insidie dell'etica e della filosofia del restauro, ma offre interessantissimi spunti di riflessione.
Il buon senso, a mio avviso, vorrebbe che si analizzasse sempre caso per caso la modalità di intervento più idonea, ma è anche ovvio come siano necessarie delle linee guida di base che possano aiutare i restauratori nella scelta della miglior soluzione. Detto questo, mi tiro indietro perché altre figure hanno più autorità in merito di quella che ne posso avere io. Mi limiterò a ribadire la mia (impopolare) posizione: in generale (sia nel restauro di opere antiche, sia nel restauro di arte contemporanea) dove non sia strettamente necessario, è meglio non intervenire col rischio di creare un "falso" e lasciare che il tempo faccia il suo dovere. In quest'ottica la documentazione fotografica assume un'importanza enorme e deve essere accurata e abbondante. Insomma, il punto fermo, secondo me, deve essere (e dovrà esserlo sempre più) la conoscenza dei materiali che compongono le opere e del loro degrado (inteso sia come stato di conservazione che come insieme dei processi di alterazione). La scienza della conservazione può in questo modo garantire che per ciascuna opera vengano adottate le misure conservative migliori, in modo da rendere omaggio al vecchio slogan: "prevenire è meglio che curare", che può essere applicato con successo sia in campo medico che in quello del restauro dei beni culturali.
Spero di essere stato chiaro in questo fumoso commento